The Unforgiven


Fonte: Yotube


The unforgiven

New blood joins this earth 
And quickly he’s subdued 
Through constant pained disgrace 
The young boy learns their rules 

With time, the child draws in 
This whipping boy done wrong 
Deprived of all his thoughts 
The young man struggles on and on, he’s known 
A vow unto his own 
That never from this day 
His will they’ll take away 


What I’ve felt 
What I’ve known 
Never shined through in what I’ve shown 
Never be 
Never see 
Won’t see what might have been
 

What I’ve felt 
What I’ve known 
Never shined through in what I’ve shown 
Never free 
Never me 
So I dub thee “Unforgiven” 


They dedicate their lives 
To running all of his 
He tries to please them all 
This bitter man he is 


Throughout his life the same 
He’s battled constantly 
This fight he cannot win 
A tired man they see no longer cares 
The old man then prepares 
To die regretfully 
That old man here is me 


What I’ve felt 
What I’ve known 
Never shined through in what I’ve shown 
Never be 
Never see 

Won’t see what might have been 

What I’ve felt 
What I’ve known 
Never shined through in what I’ve shown 
Never free 
Never me 
So I dub thee “Unforgiven”
 

You labeled me 
I’ll label you 
So I dub thee “Unforgiven

Metallica


Afferrare una mano

Ripubblico qui un post di Guido Mazzolini pubblicato da Adbensarly nel suo blog.

Concordo con l’autore.

E’ importante – essenziale – conoscere se stessi come il mondo circostante. Questo può contribuire a risolvere alcuni problemi della nostra società.

Il suono della parola

Basterebbe afferrare una mano, stringerla, trovare qualcuno che ci sostenga nelle asperità della vita. Basterebbe un amico, un’idea, un appiglio e un paio di scarpe buone per i metri troppo aguzzi, quelli percorsi con fatica e sudore nel camminare quotidiano. Vette innevate e a volte precipizi profondissimi, e quanto avremmo bisogno di una presenza rassicurante, di una voce all’orecchio che garantisca una vicinanza. Tutto diverrebbe più semplice e meno impossibile.
Fin dal primo istante, apriamo gli occhi al mondo e già cerchiamo aiuto, uno sguardo, una voce amica. Siamo animali sociali più simili alle api che ai gatti, abbiamo l’istinto dell’unione e cerchiamo il branco, la comunità, l’alterità. Viviamo dispersi, ma sempre alla ricerca di un legame, pensiamo di essere più forti se coesi ad altri, pensiamo di valere di più e alla lunga crediamo che il gruppo sia meglio del singolo. Ma se accanto non avessimo nessuno, nessun sostegno…

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Jill Bolte Taylor – neuroscienziata – racconta il suo ictus.

Questo post risale all’11 gennaio 2013. Quasi due anni prima ero stata operata al cervello a causa di un angioma cavernoso sanguinolento che mi ha quasi fatto perdere l’uso della parola. Sono stata operata da neurochirurghi eccezionali in un ospedale pubblico e ora – a quasi 9 anni di distanza – posso dirmi perfettamente guarita. Un annetto dopo l’intervento, una persona mi ha consigliato il libro di Jill Bolte Taylor “La scoperta del giardino della mente”. Lei – neuroscienziata – racconta la sua esperienza con l’ictus che l’ha colpita quando aveva 37 anni. E’ un libro importante. Per me lo è stato perché, oltre al racconto della disperazione legata alla malattia, contiene un potente messaggio di speranza e positività.

Ne consiglio la lettura a tutti.


Prima copertina
Copertina attuale


Ho postato questo video l’11-1-2013 e come avevo scritto in quel post, nelle parole di Jill Bolte Taylor c’è anche un po’ della mia esperienza personale.


Fonte: Youtube


“Ero in un mondo tra i mondi. Non riuscivo a mettermi in rapporto con nessuno, eppure continuavo a vivere. Ero una stranezza, e non soltanto per chi mi circondava ma, dentro di me, per me stessa.”

 – Dr. Jill Bolte Taylor, “La scoperta del giardino della mente-Cosa ho imparato dal mio ictus cerebrale” –