Sono lunghe settimane di riflessioni a raffica, dentro la mia testa. Quando non ci sono prospettive future, spesso capita di volgere lo sguardo indietro nel tempo e a chiedersi che senso abbia avuto fare certe scelte e certe battaglie data la condizione presente.
Nel mio caso, non riesco a trovare risposte. Ho sempre fatto le mie scelte usando la razionalità e l’emotività ma, anche se, in quel momento, sembravano le più oculate o le più razionali, alla luce di ciò che sono e del poco o niente che ho fra le mani mi sembrano…vuote. Un esempio: ho scelto Lettere perché non avevo potuto studiare Inglese alle superiori (il trasferimento da Genova a uno sperduto paesino sardo non ha aiutato nella continuità dello studio della lingua inglese alle medie e nelle cittadine limitrofe non c’era un Liceo linguistico, almeno non finché io frequentavo le superiori; quello è stato aperto quando io sono arrivata in 5a superiore). Ho scelto Lettere per altri 2 motivi: imparare a scrivere in modo serio (ciòè apprendere i segreti della Scrittura, con la ‘S’ maiuscola) e perché non mi dispiaceva l’idea di insegnare, avendo io sempre creduto che Cultura fosse essenziale per capire il mondo e muovercisi dentro. Ci ho messo anima e corpo. Ma non è servito a nulla: in quella Facoltà la ‘filosofia’ (intesa proprio come ‘amore per il sapere‘) non solo non era di casa ma non ci faceva neanche una o due settimane di villeggiatura nell’arco di un anno. Quanto all’insegnamento, quando mi sono iscritta, la Laurea in Lettere era già richiesta per l’insegnamento. Quando, poi, mi sono laureata, gli esimi Ministri della Pubblica (d)Istruzione che si sono susseguiti nel frattempo avevano già cambiato un paio di volte le carte in tavola, tanto che ora può accedere alle graduatorie e ai concorsi solo chi ha la laurea in Scienze dell’Educazione o Scienze Pedagogiche (non so neanche che denominazione abbiano scelto, ora). Ci ho messo anima e corpo e ora la mia laurea non serve a niente.
Ho scelto di fare un lungo corso regionale (1200 ore complessive, compresi tirocinio e stage fuori dalla Sardegna etc). Anche lì ci ho messo anima e corpo. Il giorno prima dell’inizio delle lezioni sono stata ricoverata d’urgenza per via dell’angioma. Ho perso 1 mese e più di lezioni. Quando sono riuscita a cominciare a frequentare avevo ancora la cicatrice a vista e una bandana per coprire la testa ancora quasi rasata. Ho avuto molte difficoltà per mettermi in pari ma ci ho messo davvero tutta me stessa. Nei primi mesi, non riuscivo ancora a leggere e venivo allegramente presa per il culo dalla combriccola dei ragazzini dementi che c’erano in classe (per lo più ragazze). Un giorno mi sono fatta forza, ho inforcato gli occhiali e quando il docente di turno mi ha fatto leggere sono andata spedita, intonando la lettura e facendo mangiare polvere a quei balenti del menga (balente in Sardegna significa ‘valente’ e oggi è un po’ il corrispettivo della parola ‘bulletto’). Non solo: studiavo in modo serio nonostante i postumi dell’operazione e spesso mi ritrovavo a salvare il culo a quei coglioni quando qualcuno faceva domande sulle cose studiate e il silenzio era la loro vile risposta. Ho fatto il tirocinio e lo stage. Ho volato a un anno dall’operazione (avevo paura per la ferita) e ho fatto un’escursione con un caldo assurdo. Ho fatto il mio stage e ho anche avuto la proposta di una lettera di referenze (credo di essere stata l’unica di tutto il corso ad averne avuto una; diversamente, al ritorno in classe lo avremmo saputo). Ho avuto mille difficoltà ma ho portato a termine il corso. Dicevano che sarebbe stato riconosciuto a livello europeo. Ma di fatto non è servito a nulla. Era solo finalizzato alla costituzione di una cooperativa che creasse qualcosa sul territorio. Proposito surreale, visto che in classe c’erano persone di tutte le età e di diversi paese, la maggior parte delle quali hanno fatto quel corso solo perché ci pagavano un tanto all’ora. Io avevo idee, per questo angolo di mondo. Sul serio. Ma sono rimaste lettera morta. In questo posto, tutto rimane lettera morta. Molti si lamentano del fatto che qui non ci sia nulla e che non si faccia mai niente. Ma appena uno ha qualche idea, lo si stronca con tentennamenti che preludono all’immediato oblio da parte di chi potrebbe fare qualcosa per trasformare quelle idee in realtà. Ho finito quel corso 10 anni fa e non mi è servito a niente. Ho acquisito molte nozioni davvero interessanti e accumulato esperienze anche molto piacevoli. Ma è finita lì.
Questi sono solo due esempi di come, qui in Sardegna, e – zoomando – nella mia realtà personale non abbia senso avere idee, buona volontà e capacità di apprendere e fare gli sforzi necessari per creare qualcosa di buono…e soprattutto per crearsi una vita. Tutto questo, se hai un po’ di spirito d’iniziativa, diventa devastante e a lungo andare ti porta a pensare che nulla abbia senso. Nulla di ciò che hai fatto ma anche nulla di ciò che potrai fare. Ho fatto tante cose pensando che avrebbero potuto avere un seguito e, magari, portare ad altre iniziative. Ma sono morte lì (come quando mi fu chiesto di far parte di un gruppo che si proponeva di rivitalizzare questo territorio anche attraverso la scrittura di storie o racconti legati a questi luoghi…ma dopo la Pandemia non ha avuto seguito. avrei dovuto scrivere un secondo ‘brano’ [‘articolo’ è una parola un po’ grossa] ma i contatti si sono persi, durante gli anni dominati dal Covid. Tante cose si sono perse, durante quegli anni.
Io ho sempre paragonato la mia vita a un ‘coito interrotto’. Lo so: è un’espressione che può far ridere o andare di traverso ma tant’è. Fatto sta che ogni volta che ho avuto per le mani qualche situazione (personale o di carattere sociale) stimolante che poteva evolvere e avere esiti davvero gratificanti…ecco che tutto è finito in modo brusco. Sul più bello. Nel momento in cui ho cominciato a crederci sul serio.
Ora non riesco più a fare qualcosa per passione o perché sarebbe bello farla. Ora, la prima cosa che mi chiedo è: “Perché dovrei farla? Che senso avrebbe?” …E spesso non faccio nulla perché arrivo alla conclusione che finirei per fare tanta fatica per niente. Prima il senso delle cose mi brillava davanti agli occhi. Ora non lo vedo.
Avrei dovuto andare via dalla Sardegna ma la vita è sempre costata ovunque, quando avevo la possibilità per farlo. Non avendo agganci (se non qualche amicizia giovanile alla quale non mi sentivo di chiedere lo sforzo dell’accoglienza prolungata o un aiuto nella ricerca di un lavoro), avrei dovuto partire già coi soldi per poter stare fuori almeno un mese ed era una cosa proibitiva, per me. Nella città in cui studiavo stavano già scarseggiando le possibilità di assunzione e sempre più più spesso si trovava un posto presso esercenti privati tramite passaparola (anche per fare pulizie, il sistema era questo) e io non conoscevo nessuno. Era la fine degli anni ’90; poco dopo, per cause di forza maggiore, sono dovuta tornare al paese. Ça va sans dire. Il resto è storia. Per quel niente che vale.